Retrouvailles a Ostana con gli ex allievi
Dicembre 27, 2025Ex allievi della Scuola di cinema di Ostana (Cn) e della scuola di Bobbio (Pc) – Fondazione Bellocchio
di Cristina Perico
Mentre la macchina sfreccia sulla strada libera dal traffico, il sole si taglia sul mio viso. C’è un calore che sento fin dentro gli occhi. Fuori, il bianco della neve sulle montagne e penso che io quel ghiaccio non lo posso toccare. Gianluca accanto a me non lo vedo da meno di un anno.
Ci abbracciamo come fosse stato l’altro giorno che scrivevamo le nostre storie, in cerchio, all’ombra delle margherite. Sono passati anni da quei tempi ma mi piace pensare che stia accadendo anche ora, ora che siamo uno accanto all’altro viaggiando e raccontando di noi, di quel tempo e di quelli che ci hanno tenuto compagnia.
Quando siamo vicini alla meta il bosco inizia ad inghiottirci. Come amo la sensazione di trovare qualcosa di familiare e allo stesso tempo di nuovo, diverso. Sono stata qui solo una volta e disegno con gli occhi qualcosa, cercando riferimenti.
E poi entriamo nella casa di Fredo. Un tepore ci tocca fin sotto gli abiti, i volti eterni delle montagne vegliano silenziose dietro di noi. Tutto quel bianco lontano non sa nulla dei nostri passi in quella stanza. Una tavola ricca di volti nuovi, strette di mano, nomi. Fredo ha quello sguardo luminoso di sempre. Il suo corpo si aggira con solennità tra gli spazi che conosce. Mi sento accolta. Leda come una direttrice d’orchestra si muove per la casa e sento, che ogni cosa che fa, anche minuscola, sostiene come fondamenta, il pavimento su cui camminiamo.
La stufa diventa compagna e alleata delle nostre conversazioni. Confesso a Fredo le mie storie, quelle su cui medito, scrivo, lavoro.
Stampo nella carne il suo non desistere. Perché il mestiere dello scrivere non occupi una parte marginale della mia vita ma che ne sia l’essenza. Ed è forse quello che si augura per ognuno delle persone nella stanza, che possano raccontare la loro storia. È di questo che parliamo incessantemente nelle ore successive. Di tutto ciò che può essere raccontato, di tutta la materia umana che trasformiamo in immagini, sogni, visioni e di nuovo, storie. Fredo guarda anche verso il pavimento e sento una consapevolezza provenire da quella terra, da quel corpo. Una consapevolezza che sfocia in una frase “Che differenza c’è tra noi e una spiga di grano?”.
La sera, con naturalezza come è accaduto ed accadrà, intorno a Fredo si forma un cerchio di silenzio che circonda la sua voce mentre evoca con destrezza il passato. Penso a Bergson che diceva che il ricordo quando si attualizza tende a vivere in un’immagine e così, a posteriori, vedo danzare, come antenati intorno al fuoco, le immagini del passato. Il tempo si è fermato nel suo incedere, e stiamo scrivendo senza penne ora, quel meraviglioso istante.
Ci alziamo in una mattina di sole con la certezza che ci rivedremo, che dobbiamo rivederci perché abbiamo del lavoro da fare. L’intimità che ci attraversa ci fa sembrare persone che si conoscono da sempre ma non è così. Mentre un raggio di sole taglia il nostro panettone creando un aura rituale, noi creiamo connessioni, parliamo dei nostri avi, delle loro fortune e sciagure, come se richiamandoli a noi li consegnassimo al futuro. Le pance piene e questo cielo azzurro sono il nostro sfondo per dirci arrivederci.
Ora ho un’immagine dietro l’altra di quel tempo un poco sospeso, che sta accadendo, ne sono certa, anche ora.





